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Eutanasia la gestione dell’esistenza

L’eutanasia nasce tra le civiltà classiche della Grecia e dell’antica Roma, permessa agli individui che presentavano gravi malformazioni

Il modo per gestire la vita

La natura di tutte le cose ci insegna che ogni essere vivente a un periodo indeterminato di vita per la sua coscienza e un orologio biologico inconscio che invece lo determina.

Voler ostentare la nostra padronanza nel gestire questa esistenza è abbastanza comico che vogliamo essere coerenti con la natura e come lei ci diede la vita.

Credo che quando la natura decide di dare o togliere la vita non ci sia alcun medico che possa decidere il contrario è preciso che, per quanto mi riguarda, anche la medicina è frutto della natura altrimenti non sarebbe neppure nata l’industria farmaceutica.

Abbiamo la conferma di questa volontà naturale sulla vita e la morte osservando fenomeni in cui nonostante le circostanze accidentali totalmente avverse qualche individuo si salva comunque dalla sua dipartita.

Per esempio abbiamo le prove che anche alcuni incidenti aerei in cui poteva sembrare impossibile che qualche passeggero di salvasse invece c’è che rimase in vita e si salvò.

Capisco che questo fenomeno può esser chiamato caso o pura coincidenza ma la realtà è proprio questa che quel caso l’ha deciso la natura e nessun altro.

Come in alcuni casi di malattia incurabile i dottori fanno l’impossibile per curare e guarire il paziente ma purtroppo la natura degli eventi ha detto no.

Ricordo una turista olandese, arrivata per una vacanza, con il marito colpito da ictus e totalmente paralizzato, confusa dalle critiche familiari

perché favorevoli all’eutanasia, mentre lei contraria; e  domandandomi cosa pensavo della sua scelta risposi che: se la natura non ha deciso di riprendersi il marito significa che vuole ancora vederlo vivere e

che, in realtà, non è lei la responsabile, dell’esistenza del marito come del suo ictus, purché non lo abbia sottoposto ad eutanasia; siccome: quando la natura decide biologicamente il nostro ritorno ad essa nessuno può fermarla, neppure un genio in medicina.

 

Eutanasia

In semantica significa: buona morte o dolce morte, ma l’abbandono terapeutico, l’accanimento terapeutico e l’eutanasia non sono sinonimi della morte, del paziente, e tantomeno devono rappresentare la sua causa immediata.

L’eutanasia esclude che vi siano cause naturali che possono portare alla morte di un individuo, rifiutando che l’esistenza abbia i suoi limiti biologici.

Interpretando la morte come una carenza o un potere della medicina, invece di un fattore fisiologico e conseguendo l’idea che sia sempre possibile gestire la vita a proprio parere.

 

Attualmente la legge prevede

che: il paziente capace di intendere e volere sia obbligato a dare consenso scritto prima che il responsabile sanitario intraprenda qualsiasi terapia o intervento diagnostico;

quindi, qualsiasi adulto capace di intendere e volere, ha già il diritto di rifiutare la terapia anche, se questa scelta, può condurlo a morte certa.

 

I modi per realizzare l’eutanasia

sono ufficialmente tre:

Eutanasia attiva che consiste nell’accelerare il decesso del paziente che ne fa richiesta tramite lazione di un operatore sanitario.

Eutanasia assistita: fornendo al paziente, che ne faccia richiesta, i medicinali per decidere autonomamente l’eutanasia.

Eutanasia passiva: tramite l’interruzione del trattamento terapeutico cioè quando il medico comprende che è inutile proseguire la cura a causa dello stato avanzato della malattia.

Dal punto di vista etico deontologico l’eutanasia attiva e quella passiva hanno implicazioni morali e mediche assai diverse infatti lasciare che

la natura biologica faccia il suo corso ed intervenire per tentare di modificare il susseguirsi degli eventi biologici ha un riscontro notevolmente opposto

sia per il paziente che per la medicina come affermano la dottoressa Sabrina Ulivi psicoterapeuta, il professor Alfredo Guarnieri Ricercatore Universitario laureato in medicina e chirurgia,

Martina Taioli psicologa, sulla testata giornalistica Psycomedia Telematic Review nella sessione Modelli  e Ricerca in Psichiatria nell’area Medicina e Psicologia.

 

Il dubbio soggettivo

Consiste in un concetto che vorrei tanto approfondire cioè mi domando se non v’è la possibilità che il paziente, dopo aver affrontato l’Eutanasia Attiva,

possa restare, comunque, in uno stato di morte apparente, siccome il suo orologio biologico continua a funzionare, ma questo lo chiarirà la scienza

con ulteriori ricerche, se vorrà prendere in esame il mio dubbio soggettivo, inerente all’eutanasia attiva in relazione allo stato di morte apparente;

potrei comunque continuare a ragionare in base alla completezza della natura che potrebbe, sempre lei, agire anche nel caso dell’eutanasia attiva,

come in altro modo; in sostanza: vedo solo il metodo diverso ma un orologio biologico che interagisce con l’ambiente, le circostanze e le scelte del soggetto; in ogni caso la mia osservazione non sostituisce quello della medicina e della psicologia.

Di Gogoos

Studioso di psicologia e teologia, blogger multitasking, pubblica informazioni di attualità, cultura, scienza, psicologia e spiritualità nell'umana ambiguità che esprime e manifesta la struttura dell'umanità